La politica

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La passione accademica di Roberto Ruffilli per gli aspetti fondativi ed evoluzionistici della macchina statale contemporanea aveva sin dagli albori lasciato trasparire un’intensa inclinazione etica verso la salvaguardia della democrazia in Italia.
I suoi studi e le sue ricerche, difatti, traslarono progressivamente dal piano storico a quello politologico e giuridico, dimostrando un avvicinamento costante a un contributo effettuale di risoluzione per le problematiche della società repubblicana.
Con l’arrivo degli anni Ottanta, recanti – anche sulla scia del caso Moro - lo scompaginamento dell’egemonia governativa democristiana e la salita del vecchio collega di studi Ciriaco de Mita alla segreteria nazionale dello Scudo Crociato, Ruffilli decise di accettare l’invito a entrare nella politica attiva.
Ruffilli nel momento in cui si consuma il suo passaggio da analista della storia politica italiana ad attore della politica, deve fare i conti con questo quadro di riferimento in cui il suo disegno politico, volto a riportare le masse ad essere protagoniste del loro destino, lavorando fianco a fianco con leader vecchi e nuovi di un partito di cui conosce i limiti […]. Il richiamo alla tregua costituente, che Moro ha ribadito fino alla fine, costituisce l’archetipo all’interno del quale Ruffilli definisce il suo progetto politico nel momento in cui accetta di mettersi in gioco dentro la politica” (Maria Serena Piretti, “Roberto Ruffilli: una vita per le riforme”, 2008).

Su tali presupposti, nel 1982 Roberto Ruffilli entra a far parte, con la delega alle riforme istituzionali, di un ristrettissimo gruppo di consulenti tecnici creato da Ciriaco de Mita, dando via a un diretto e critico confronto con le nuove prassi e istanze governative del paese (presidenze Spadolini e Craxi), per poi accedere agli scranni parlamentari il 12 luglio 1983, eletto al Senato nelle fila della DC.

I suoi cinque anni di attività politica saranno caratterizzati da un’intensa propositività e da una puntigliosa attenzione ai dettagli decisi dei testi di riforma, in un contesto generale di accelerata erosione della credibilità del sistema, minato dal rapido succedersi di scandali politici (Loggia P2) e finanziari (affaire Giudice-Petroli).
Ruffilli si farà portatore, in qualità di relatore o co-firmatario, di un centinaio di atti parlamentari e si ritaglierà un ruolo importante all’interno della prima Commissione bicamerale per le riforme istituzionali della storia repubblicana, la cosiddetta Commissione Bozzi (1983-1985).
In essa, egli esprimerà – impotente rispetto al destino fallimentare cui sarà destinata la Commissione - l’intento di “riportare nelle mani del cittadino elettore la scelta effettiva degli uomini e dei programmi di governo e la individuazione della maggioranza, quale via per dare forza sia al Governo come al Parlamento, e ridefinire in modo adeguato le responsabilità di un sistema dei pubblici poteri, e per dare poi trasparenza e correttezza alle relazioni tra cittadini e istituzioni…. Non si tratta di voler costituire a priori un bipolarismo che favorisca i partiti maggiori, si tratta invece di responsabilizzare tutti i partiti nel rapporto con l’elettorato, in ordine alla formazione di maggioranze praticabili, non già sulla base di affinità ideologiche, quanto invece di omogeneità concordate sui programmi di governo e gli uomini per la realizzazione degli stessi” (Maria Serena Piretti, “Roberto Ruffilli: una vita per le riforme”, 2008).

I suoi interventi a Palazzo Madama si occupano da subito del riordino della macchina amministrativa dello Stato, lungo criteri di efficienza e di attenzione solidaristica, partendo da una revisione del funzionamento della Corte dei Conti (progetti n. 1080, n. 1081, n. 1082, n. 563, n. 564), per arrivare alla precisa individuazione delle cause di incompatibilità ed ineleggibilità in alcuni pubblici uffici (n. 325, n. 2021).
L’obiettivo di donare, poi, nuova e maggiore credibilità alle istituzioni si traduce in Ruffilli in un appoggio a tutti quei disegni di legge volti a rendere più snelli e incisivi gli iter parlamentari (n. 426, n. 2024), e a riequilibrare i pesi all’interno del Consiglio Superiore della magistratura (n. 832). Al tema dell’equità retributiva, invece, sono destinate le proposte del Senatore relative agli emolumenti dei magistrati (n. 667), dei dipendenti pubblici (n. 2321) e privati (n. 2035). Così come anche sul fronte della solidarietà economico-sociale e della tutela dei più deboli, si registrano svariate attenzioni normative (n. 575, n. 727, n. 1037, n. 1180, n. 898, n. 436).

Nei confronti delle relazioni bilaterali con il Vaticano, che vedranno una revisione epocale nel 1984, “Ruffilli dichiara la propria adesione ad una riforma della disciplina concordataria in materia di beni ecclesiastici e di sostentamento del clero, di cui apprezza, in particolare, la volontà di superare il sistema dei benefici… e dei supplementi di congrua a favore di un sistema che si colloca in un orizzonte diverso, nel contesto di una società pluralistica” (Maria Serena Piretti, “Roberto Ruffilli: una vita per le riforme”, 2008).

Si evidenzia, infine, tutta una serie di attività parlamentari, di natura difforme ma interconnesse da un comune obiettivo di recupero e razionalizzazione della potenzialità dell’Italia nel contesto internazionale: esempi lampanti, ne sono il progetto per la costituzione dell’ente porto di Ravenna (n. 384), per la riqualificazione di Roma (n. 2022), per l’istituzione dell’aviazione navale (n. 1083), per l’ampliamento della tutela ambientale (n. 1457).

Lo sforzo politico di Roberto Ruffilli, decisamente incamminato nella scia del lascito moroteo sulla ripresa e l’attuazione di un cammino condiviso e sostenibile di riforma istituzionale del Paese, troverà improvvisa e prematura interruzione il 16 aprile 1988, a causa dell’ultimo brutale assassinio perpetrato dalle Brigate Rosse – PCC, che otterrà di cancellare l’ultimo tentativo concreto di rigenerazione del sistema politico prima del tracollo della Prima Repubblica.

(testo a cura di Domenico Guzzo)

 

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